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Se del Lager è bene serbare memoria non è per la misura della strage, per quanto spaventosa possa essere stata. È perché all’origine della strage hanno agito meccanismi insiti nell’animo umano, e quindi tuttora presenti. Di qui il pericolo: quello che è accaduto può accadere di nuovo.

Che gli uomini si possano dividere fra sommersi e salvati è quanto meno dubbio. Molto più solida è un’altra ipotesi, che matura nell’ultima fase della composizione del libro. La ragione del genocidio nazista – e noi potremmo aggiungere: di tutti i genocidi – va ravvisata nel disconoscimento dell’umanità altrui. Quando si offende o si nega l’umanità dell’altro, allora si apre la strada che porta allo sterminio. Di contro – ne deduciamo – l’unico antidoto consiste nel riconoscere l’umanità dell’altro. Non si è mai uomini da soli. L’umano è un attributo del «tu», non dell’io. Questa è, credo, l’eredità più preziosa che Levi ci ha lasciato.

Mario Barenghi (Milano 1956) insegna Letteratura italiana contemporanea all’Università degli studi di Milano Bicocca. Si è occupato di Manzoni, Ungaretti, di memorialistica, di teoria letteraria; è stato fra i curatori dell’edizione delle opere di Calvino nei “Meridiani” Mondadori e ha pubblicato presso Il Mulino le monografie Italo Calvino, le linee e i margini (2007) e Calvino (2009). Nel 2013 sono usciti Perché crediamo a Primo Levi? (Einaudi) e Che cosa possiamo fare con il fuoco? Letteratura e altri ambienti (Quodlibet). Collabora con l’annuario Tirature (Il Saggiatore – Fondazione Mondadori) e con la rivista online “Doppiozero”.
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